mercoledì 11 febbraio 2009

Un grido inascoltato: ‘Ho sete’. Eluana è morta, ingiustizia è fatta. Ma i suoi assassini non siederanno al banchetto di Dio con lei

di Gianluca Barile

‘Ho sete’, dice Gesù sulla Croce prima di esalare l’ultimo respiro. ‘Ho sete’, avrà pensato Eluana Englaro negli ultimi giorni del suo doloroso pellegrinaggio terreno. ‘Ho sete’, esclama adesso ogni persona di buona volontà davanti all’efferato omicidio della giovane donna consumato in una fredda ‘cella della morte’ in stile Auschwitz allestita, per volere del padre e con il permesso della Magistratura, in una - sinora - anonima struttura medica privata di Udine che, a dimostrazione di quanto sia stata beffarda la sorte con la vittima di questo omicidio, di nome fa ‘La Quiete’. Ebbene sì: ora che questa creatura innocente non c’è più, è scattata una ‘sete’ collettiva: una sete di verità e di giustizia! Perché se è vero - e non ne abbiamo dubbi - che adesso Eluana gode il suo meritato riposo al cospetto del Signore, è altrettanto vero che nessuno - non il padre, né i medici, né i giudici - aveva il diritto di condannarla al peggiore dei supplizi: l’agonia e il decesso per fame e sete. Ma tant’è: come agnello condotto al macello, Eluana non è riuscita a fuggire dalle mani dei suoi aguzzini. Troppo ‘ingombrante’ quel corpo, anche per il Capo dello Stato, perché potesse continuare a vivere. Perché Eluana era viva! Respirava autonomamente, si addormentava e si svegliava da sola, era una donna di 38 anni addirittura in grado di poter partorire. Ma il dolore, si sa, nell’epoca dell’immagine, è qualcosa di insopportabile, di inguardabile, di orrido! Più comodo far morire Eluana, possibilmente prima che potesse intervenire il Parlamento, piuttosto che continuare ad assisterla nel suo assordante silenzio; un silenzio che chiedeva solo carità, aiuto, vicinanza, qualche carezza e una parola dolce. Eluana, negli ultimi giorni, non ha avuto nulla di tutto ciò: quando ha rimesso l’anima a Dio, non c’era a stringerle la mano nemmeno un familiare. Presenti, invece, i medici e gli infermieri che, ‘solerti’, hanno fatto tutto il possibile, come dei novelli ‘dottor morte’, affinché l’illustre paziente, come prevedeva il loro ‘protocollo funebre’, perisse. Ecco la perdita del senso del peccato; ecco l’uomo che si sostituisce a Dio; ecco la vittoria - grazie a Dio solo apparente - del Male sul Bene. Ma solo il Signore ha l’ultima parola, ed è Parola di vita eterna! Hanno potuto ammazzare il corpo di Eluana, ma non la sua anima, che ora è in Paradiso e, piena di Spirito Santo, dimora tra gli Angeli e i Santi contemplando il volto di Cristo nell’immensità della luce di Dio Padre e sotto il manto protettivo di Maria. Ma dell’anima degli assassini di Eluana, cosa sarà? Spetterà a Dio, Signore dei vivi e dei morti, l’ultima parola. Ma se non si pentiranno, se non si convertiranno, se non chiederanno perdono per quello che hanno fatto, è facile immaginare il triste scenario della dannazione eterna: i malfattori non siederanno accanto ai giusti al banchetto di Dio! Lo gridiamo ad alta voce, carichi di dolore, e pazienza che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, abbia esortato gli italiani al silenzio. Perchè prima che italiani, siamo cristiani; perchè Dio è testimone del fatto che se finanche il mondo intero potesse tacere davanti all’assassinio di Eluana Englaro, una voce sola, fortissima, assordante, amplificata dall’eco dell’eternità, non potrebbe più essere cancellata. E con essa, un urlo straziante: ‘Ho sete’.

mercoledì 4 febbraio 2009

Se questa è una donna

di Riccardo Cascioli

“Lei è una donna. Una donna di trentotto anni: ha la mia stessa età. Ha il ciclo mestruale come ogni donna. Apre gli occhi di giorno e li chiude la notte. Respira benissimo e da sola, serenamente. Il suo cuore batte da solo, tenace e forte. Ci sono momenti nei quali forse sorride e altri nei quali forse socchiude gli occhi. Ma quanti sanno davvero che Eluana non è attaccata a nessuna macchina? Quanti sanno che nella sua stanza non c’è un macchinario, ma due orsacchiotti di peluche sul suo letto? Che non ha una piaga da decubito? Che in diciassette anni non ha preso un antibiotico?”. Così ha parlato Margherita Coletta, la vedova di un carabiniere ucciso nell’attentato di Nassiriya (Iraq) il 12 novembre 2003, che negli ultimi mesi ha visitato più volte Eluana Englaro nella clinica di Lecco dove era ricoverata da 15 anni e che ha intessuto un rapporto di amicizia con Beppino, il padre di Eluana. Margherita Coletta ha parlato in una intervista pubblicata da Avvenire oggi, 4 febbraio 2009, in in cui racconta la sua esperienza con Beppino ed Eluana. Un’intervista tutta da leggere, ma quelle parole citate all’inizio sono da meditare e riproporre ovunque perché spezzano quel muro di ipocrisia e malignità che un gruppo di sciacalli ha eretto intorno alla famiglia Englaro, sfruttando il dolore di un padre evidentemente disorientato: “Credo sia soprattutto lui in uno stato simile a quello vegetativo”, ha detto di lui Margherita Coletta, con una espressione di filiale affetto.
Ieri sera al TG1 abbiamo assistito al vertice di questa “danza del male”, con l’intervista al primario anestesista della clinica “La Quiete” di Udine, Amato Da Monte, l’uomo che ha coordinato la “deportazione” di Eluana dalla clinica della vita alla camera della morte. Di notte; l’habitat naturale del “principe delle tenebre”. Alla domanda della giornalista che chiedeva sulla possibile sofferenza di Eluana, Da Monte ha risposto: “Eluana è morta 17 anni fa”. Rileggiamo quanto detto da Margherita Coletta: risulta al professor Da Monte che le persone morte aprano gli occhi di giorno, sorridano, abbiano il ciclo mestruale, respirino senza problema, abbiano il cuore che batte autonomamente? E se è così convinto che Eluana sia già morta, perché pensa di somministrarle dei sedativi durante il procedimento di sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione? Solo chi è morto dentro può capovolgere la realtà fino a questo punto. E proprio lui aveva detto all’inizio dell’intervista che vedendo Eluana per la prima volta si sentiva “devastato”, perché era così diversa dalle foto che da mesi scorrono in tv e sui giornali e che si riferiscono ad Eluana prima dell’incidente. Certo che è molto diversa, così come lo stesso dottor Da Monte è diverso rispetto a 17 anni fa. E’ ciò che accade ai vivi: si cresce, si invecchia. Dei morti, invece, dopo 17 anni restano soltanto le ossa. Ma per Da Monte, Eluana è morta 17 anni fa.
La responsabilità di questa barbarie però, non si può scaricare evidentemente sul solo dottor Da Monte. Egli è soltanto l’immagine fedele di questa nostra società composta di “morti che camminano”, incapaci di dare o almeno di cercare un senso alla realtà, alla sofferenza come alla gioia, al lavoro come al riposo, incapaci di essere uomini e donne. E’ l’immagine dei tanti sciacalli che si sono avventati su Eluana, come prima avevano fatto con Welby, per imporre un’ideologia di morte, a cominciare dai militanti del Partito radicale e i loro avvocati che hanno spinto Beppino Englaro a portare fino in fondo un atto che lo tormenterà fino alla fine dei suoi giorni. E’ l’immagine dei tanti Ponzio Pilato che affollano gli scranni dei tribunali italiani - e non solo -, che davanti a una evidente invasione di campo di qualche giudice militante, si preoccupano soltanto di stabilire la legittimità formale delle sentenze: la frase è corretta, l’inchiostro è giusto, si proceda all’esecuzione. E ci si permetta qui di correggere il presidente Napolitano, che ha invocato subito una legge sul testamento biologico perché i magistrati della Cassazione si sono inseriti in un vuoto legislativo. Caro presidente, non c’era alcun vuoto legislativo in Italia a proposito di eutanasia: essa è vietata, punto e basta. I giudici hanno compiuto un vero e proprio colpo di mano, e l’unica legge buona sarà quella che impedirà ad altri giudici di perseguire la stessa strada.
Tornando al discorso precedente, il dottor Da Monte è anche l’immagine nauseante di tanti politici incapaci di chiamare le cose con il loro nome e che si trincerano dietro il “rispetto per il dolore della famiglia” per avallare un atto che segna la condanna a morte, non di Eluana, ma dell’intera nostra società di cui dovrebbero essere loro i primi difensori.
E’ infine anche una domanda su ciascuno di noi, se abbiamo fatto tutto il possibile per affermare il Bene, per rispettare la vita di Eluana e sostenere il padre Beppino nella sofferenza.
E’ vero comunque che in tutta questa vicenda sono emersi anche segnali di speranza: abbiamo visto una grande mobilitazione di persone comuni sdegnate per questa barbarie, mobilitate nell’estremo tentativo di salvare Eluana. Segno che la sensibilità per la vita non è morta nel nostro popolo. E abbiamo visto anche dei politici fare il loro possibile per fermare la deriva di questa società, a cominciare dal ministro Sacconi e dal governatore della Lombardia Formigoni
Questo ci aiuta anche a vedere che la partita ancora non è finita. Abbiamo ancora tutti la possibilità di fare qualcosa.
Anzitutto pregare. Pregare perché il Signore apra il cuore a Beppino Englaro, che lo faccia rinsavire e comprendere la gravità del gesto che sta per compiere.E poi fare pressione con tutti i mezzi possibili: manifestazioni, ma anche lettere a giornali, tv. E soprattutto a coloro che stanno per alzare la mano su Eluana: i responsabili della clinica La Quiete e il Comune di Udine che ha fatto da ponte.Per facilitarvi, ecco alcuni recapiti:
Clinica: indirizzo e-mail:
segreteria@laquieteudine.itPer il telefono telefonare a: Ufficio Segreteria dell'Asp "La Quiete", laresponsabile dell'ufficio è la sig.ra Barbara Duriavig, tel. 0432-8862216oppure 0432-8862214, fax. 0432-26460Comune: indirizzo e-mail: urp@comune.udine.itFax: 0432 - 271355