mercoledì 8 giugno 2011

L'ora dei conservatori, altro che moderazione !


di Marco Invernizzi




Accanto alla sconfitta del centro-destra, le elezioni amministrative recenti hanno segnato anche alcuni problemi per i “principi non negoziabili”. Il problema anzitutto riguarda il fatto che questi principi non sono riusciti a entrare nel vivo della competizione.

Nonostante il Magistero sia stato molto chiaro, dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 2002 al discorso di Benedetto XVI al Partito popolare europeo il 30 marzo 2006 e successivamente, pochi insistono su questi valori, pochi ci credono e li utilizzano, alcuni addirittura li contestano e li sostituiscono con altri, come è avvenuto in occasione delle elezioni di Milano, dove sacerdoti e laici cattolici hanno sostenuto il candidato Giuliano Pisapia il cui programma e la cui storia culturale e politica sono evidentemente contrarie ai principi non negoziabili.

Ma il vero problema mi pare sia proprio nel fatto che questo criterio di scelta non venga utilizzato, aldilà della scelta concreta che poi viene fatta.

Abbiamo già affrontato su La Bussola Quotidiana il tema che i principi non negoziabili di per sé non esauriscono la dottrina sociale della Chiesa. Essi hanno bisogno di una cultura politica che li sostenga e li accompagni, che si adatti al tipo di elezione (amministrativa, politica, europea), ma che poi ne tenga veramente conto, senza timidezza.

Oggettivamente questo non avviene neppure nel centro-destra, che pure è stata la coalizione indubbiamente più sensibile (o meno ostile) ai principi non negoziabili, con l’eccezione vistosa e stonata del ministro Mara Carfagna, che però appunto sembra un caso circoscritto a una persona. Un discorso a parte meriterà l’Udc, a parole molto attenta ai principi non negoziabili, ma nei fatti spesso allineata contro chi li difende pubblicamente, come nel caso eclatante delle elezioni regionali del Piemonte dello scorso anno, quando il partito di Casini si schierò contro i movimenti e le associazioni cattoliche che stabilirono un Patto per la vita e la famiglia con il candidato del centro-destra poi risultato vincente.

Il caso piemontese è importante perché a tutt’oggi forse rappresenta il principale esempio di come si possa cercare di rendere visibili e importanti i principi non negoziabili in una competizione politica.

Questo infatti è il problema, che abbiamo già cominciato ad affrontare con gli interventi del vescovo di Trieste mons. Giampaolo Crepaldi e di Stefano Fontana.

Si tratta infatti di costruire una cultura politica a partire e a sostegno dei principi non negoziabili e poi di organizzare delle alleanze prepartitiche che spingano partiti e candidati a tenerne conto. Soltanto così essi potrebbero diventare centrali e forse determinanti. Qualcosa del genere è stato fatto a Milano dall’associazione Nuove Onde nel passato, con buoni risultati, come ho già ricordato, ma moltissimo deve essere ancora fatto, soprattutto a livello di sensibilizzazione culturale.
Una osservazione preliminare riguarda il termine con cui si usa legare fra loro le diverse culture politiche che costituiscono la coalizione del centro-destra. Il termine corrente è moderati, e si dice che compito del centro-destra sia quello di unire tutti i moderati. Ma moderati in che cosa? Nel sostenere i valori costitutivi della coalizione? E perché se tali valori sono ritenuti importanti? Se un candidato di centro-destra dovesse sostenere con forza i principi non negoziabili come fondamento della sua scelta politica, sarebbe un non-moderato e quindi estraneo al centro-destra?
Il moderatismo non è un principio culturale ma un atteggiamento del carattere e del comportamento della persona. Moderato è chi appunto sa controllare i propri atteggiamenti, le proprie emozioni, anche le proprie ragioni e passioni. Nella campagna elettorale di Milano è apparso moderato nei toni il candidato di sinistra che aveva un programma ostile ai principi non negoziabili, mentre a destra si sono levati atteggiamenti giudicati estremisti (a torto o a ragione, non è questo il punto).

Se si vuole costruire una cultura politica che parta dai principi non negoziabili bisogna rivolgersi a una parola tabù nella cultura dominante, il conservatorismo. Il 4 novembre 2007, intervistato dal Corriere della Sera, il card. Ruini ricordava che conservatorismo ha anche un aspetto positivo, quello appunto di voler conservare qualcosa di fondamentale e irrinunciabile. In realtà, il conservatorismo non è ostile allo sviluppo o ai cambiamenti, ma vuole comunque tenere ferme alcune verità dalle quali una cultura politica non può prescindere. Tutto il resto è riformabile e migliorabile, senza però buttare via l’essenziale e ricordando che l’alternativa alle rivoluzioni sono le riforme, o almeno alcune riforme.

Nella storia dell’Italia moderna non c’è mai stato un partito conservatore, per diverse ragioni, ma è sempre esistito, dal Patto Gentiloni al 18 aprile 1948 e alle elezioni del 1994, un popolo che ha combattuto per conservare e ripartire dalle radici cristiane della nazione, rifiutando le diverse proposte rivoluzionarie che gli venivano offerte, si chiamassero socialismo, fascismo, azionismo o comunismo. E rifiutandole con vigore, senza troppa moderazione.