di Carmelo Bonvegna
Anche se non sappiamo se si voterà a primavera, da cattolico, voglio affermare sin d’ora che l’on. Fini non avrà il mio voto. Non tanto perché – come dicono tutti – è un “voltagabbana” e ha “tradito” Berlusconi, il “benefattore” che nel ‘93 lo aveva “sdoganato”, ché, a questa stregua, il Parlamento e il mondo della politica al completo sarebbero sentine affollate di “traditori” e di “tradimenti”; né perché avrebbe cambiato idea su alleanze e prospettive che in quel campo, com’è noto, sono quasi sempre temporanee e mutevoli e quindi, purtroppo, tutte “legittime”; quanto perché, in questi ultimi anni, della visione “cattolica” della società che noi ingenui gli attribuivamo non è rimasto proprio nulla.
Poi, improvvisamente, qualcosa si è rotto: fu in occasione del famoso referendum sulla “legge 40” (12-13 giugno 2005) in cui lui e i cosiddetti cattolici “adulti”, primi della classe come la sig.na Bindi, corsero a votare insieme ai post-comunisti e ai radicali e persero rovinosamente, mentre i tre quarti degli italiani, molti dietro consiglio del cardinale Ruini, preferirono l’astensione, facendo naufragare nel ridicolo la manovra della Sinistra coalizzata. Penso sia cominciata in quel momento la deriva del “nostro” che, a quanto pare, non si è più fermata e, anzi, continua tuttora a grande velocità.
D’allora, infatti, dopo la precedente sparata che Mussolini era stato il più “grande” politico del ‘900, l’on. Fini non ha perso occasione per smarcarsi dalla Destra e, talora, scavalcare la stessa Sinistra. Anche qui, intendiamoci, nulla da obbiettare, se si tratta di materia su cui i pareri possono essere opinabili; la stessa cosa, però, secondo noi cattolici, non può dirsi se il discorso cade su quei valori che chiamiamo “non negoziabili”, cioè quelli che riguardano il diritto naturale quali l’inizio e fine vita e la famiglia; ma anche su tali argomenti egli si è via via allineato coi post-comunisti e i radicali, sempre più allontanandosi dal modello a cui guarda la più parte degli italiani; pertanto diventa impossibile per noi inseguirlo in questa sua fuga verso il “partito radicale di massa”.
Particolarmente sconcertati, a dir poco, siamo rimasti noi della generazione che nel Sessantotto avevamo combattuto duramente e rischiato ogni giorno nelle università contro la “rivoluzione” comunista che, in ritardo giovani borghesi in eskimo, volevano imporre con la violenza alla nostra patria. In quel passaggio drammatico della Storia ci eravamo trovati spesso fianco a fianco nelle aule e nelle piazze con studenti della Destra politica in cui Fini, “giovine” allora di belle speranze, faceva le sue prime prove. Parecchi di loro alzavano il braccio nel saluto romano per darsi coraggio e mostravano i muscoli, altri leggevano e mischiavano Evola, Guenon, Maurras, Thibon, Nietzsche, Mordini, Sant’Agostino, Codreanu, Pound… ed erano convinti di dover fare “un’altra rivoluzione” anche se di segno contrario a quella comunista: ne derivava una grande e pericolosa confusione! Diversi, poi, per fortuna, sorgendo dagli “uomini e le rovine” evoliane, si convertirono alla pratica della Fede con un percorso spirituale, controcorrente rispetto alla marea montante e, pur nel bailamme di quegli anni, riscoprirono il Cristianesimo come ultima e sicura tappa di arrivo: si convinsero che per reagire bisognava fare non “un’altra” rivoluzione ma semplicemente “il contrario” della rivoluzione cominciando dall’“interiore homine”, tentando, cioè, di restaurare un “ordine” spirituale e materiale che il Sessantotto, in nome della libertà assoluta e fra gli applausi di molti chierici, andava distruggendo a man salva prima nell’uomo singolo, e poi nella famiglia, nella scuola, nella Chiesa, nella società intera... Io, da subito, feci parte di questo gruppo e talora fui protagonista in prima persona. Così, dove la rivoluzione sfasciava la famiglia e preparava la divisione, il divorzio e la solitudine, i “controrivoluzionari” alzavamo fortificazioni per difenderla come il diritto naturale l’aveva voluta; dove si cominciava a parlare di aborto e di “diritto” della donna ad usarne, si rispose che esso era vera e propria uccisione di un innocente nel grembo della madre; dove la rivoluzione sessuale predicava la libertà assoluta e il disordine nei rapporti tra maschio e femmina (anche tra adulti e bambini!), si rispondeva che l’autodisciplina del proprio corpo era il presupposto non solo per l’ordine individuale ma anche per quello sociale; dove loro, durante le occupazioni delle università, diffondevano la droga e dicevano e scrivevano – io ricordo! – che faceva bene alla mente ed “era determinante per la distruzione delle inibizioni”, noi, al contrario, rispondevamo che essa faceva male e che, aggiunta alla rivoluzione sessuale, sarebbe stata l’estrema follia per molti ragazzi, come oggi avviene…!
Ad ogni modo, col disfacimento della cosiddetta Prima Repubblica, tutti coloro che gravitavano nell’ambito culturale della Destra, “convertiti” o meno che fossero, si trovarono quasi naturalmente collocati accanto ai cattolici di sempre e il giovane Fini sembrava essere uomo qualificato a rappresentarli in questa “nuova” temperie politica; ecco perché la sua metamorfosi ci lascia sempre più sbalorditi man mano che gli vediamo acquisire i “vizi” della “modernità” come quando soggiace alla vieta e volgare abitudine degli intellettuali laicisti nostrani che prendono sempre a modello le nazioni dell’Europa del Nord, quelle della Riforma del secolo XVI, come se da esse dovesse discendere anche per l’Italia, “arretrata” e “poveretta” per colpa del Cattolicesimo romano, la luce del “buono” e del “bello” assoluti. E infatti nel recente discorso di Bastia Umbra, per la fondazione di “Futuro e Libertà”, egli, copiando dall’amico Zapatero, dice che “in Italia dobbiamo colmare il divario e allinearci agli standard europei sulla tutela delle famiglie di fatto e quelle tradizionali”, dove “divario” significa arretratezza e l’aggettivo “tradizionali” nella prosa finiana ha valenza di “superato” e di “negativo”; poi, scendendo nel particolare, aggiunge: “non c’è in nessuna parte dell’Europa un movimento politico come il PDL [il partito fondato da lui e da Berlusconi] che sui diritti civili sia così arretrato”.
Al di là del tono supponente che fa pensare ai tipici scritti di “Repubblica”, giornale il più anticattolico sulla piazza, se l’aggettivo “arretrato” fa il paio con “tradizionali”, come sembra, allora dobbiamo concludere che il “salto” di Fini è il più lungo che si possa immaginare; da queste sue parole, infatti, appare chiaro il contrasto con la Famiglia vera come noi cattolici la intendiamo: essa, secondo lui, sarebbe “arretrata” proprio perché “tradizionale”, cioè “cristiana”! A proposito di tali sue parole, “Avvenire” (9-XI-10) parla giustamente di “bizzarro, deludente e rischioso argomentare”. A questo punto possiamo stare sicuri che anche su altri principi “non negoziabili”, come, ad esempio, il “suicidio assistito”, egli sia ormai in rotta di collisione con la Dottrina della Chiesa a cui io, invece, fermamente credo essendo, questa, a ben vedere, l’unica tavola che non affonda nel nullismo della società attuale.
Sì, il “salto” di Fini verso il “partito radicale di massa” ormai è evidente a tutti e – stando così le cose – irrimediabile e definitivo. Pertanto, sicuramente non avrà il mio voto!
Anche se non sappiamo se si voterà a primavera, da cattolico, voglio affermare sin d’ora che l’on. Fini non avrà il mio voto. Non tanto perché – come dicono tutti – è un “voltagabbana” e ha “tradito” Berlusconi, il “benefattore” che nel ‘93 lo aveva “sdoganato”, ché, a questa stregua, il Parlamento e il mondo della politica al completo sarebbero sentine affollate di “traditori” e di “tradimenti”; né perché avrebbe cambiato idea su alleanze e prospettive che in quel campo, com’è noto, sono quasi sempre temporanee e mutevoli e quindi, purtroppo, tutte “legittime”; quanto perché, in questi ultimi anni, della visione “cattolica” della società che noi ingenui gli attribuivamo non è rimasto proprio nulla.
Poi, improvvisamente, qualcosa si è rotto: fu in occasione del famoso referendum sulla “legge 40” (12-13 giugno 2005) in cui lui e i cosiddetti cattolici “adulti”, primi della classe come la sig.na Bindi, corsero a votare insieme ai post-comunisti e ai radicali e persero rovinosamente, mentre i tre quarti degli italiani, molti dietro consiglio del cardinale Ruini, preferirono l’astensione, facendo naufragare nel ridicolo la manovra della Sinistra coalizzata. Penso sia cominciata in quel momento la deriva del “nostro” che, a quanto pare, non si è più fermata e, anzi, continua tuttora a grande velocità.
D’allora, infatti, dopo la precedente sparata che Mussolini era stato il più “grande” politico del ‘900, l’on. Fini non ha perso occasione per smarcarsi dalla Destra e, talora, scavalcare la stessa Sinistra. Anche qui, intendiamoci, nulla da obbiettare, se si tratta di materia su cui i pareri possono essere opinabili; la stessa cosa, però, secondo noi cattolici, non può dirsi se il discorso cade su quei valori che chiamiamo “non negoziabili”, cioè quelli che riguardano il diritto naturale quali l’inizio e fine vita e la famiglia; ma anche su tali argomenti egli si è via via allineato coi post-comunisti e i radicali, sempre più allontanandosi dal modello a cui guarda la più parte degli italiani; pertanto diventa impossibile per noi inseguirlo in questa sua fuga verso il “partito radicale di massa”.
Particolarmente sconcertati, a dir poco, siamo rimasti noi della generazione che nel Sessantotto avevamo combattuto duramente e rischiato ogni giorno nelle università contro la “rivoluzione” comunista che, in ritardo giovani borghesi in eskimo, volevano imporre con la violenza alla nostra patria. In quel passaggio drammatico della Storia ci eravamo trovati spesso fianco a fianco nelle aule e nelle piazze con studenti della Destra politica in cui Fini, “giovine” allora di belle speranze, faceva le sue prime prove. Parecchi di loro alzavano il braccio nel saluto romano per darsi coraggio e mostravano i muscoli, altri leggevano e mischiavano Evola, Guenon, Maurras, Thibon, Nietzsche, Mordini, Sant’Agostino, Codreanu, Pound… ed erano convinti di dover fare “un’altra rivoluzione” anche se di segno contrario a quella comunista: ne derivava una grande e pericolosa confusione! Diversi, poi, per fortuna, sorgendo dagli “uomini e le rovine” evoliane, si convertirono alla pratica della Fede con un percorso spirituale, controcorrente rispetto alla marea montante e, pur nel bailamme di quegli anni, riscoprirono il Cristianesimo come ultima e sicura tappa di arrivo: si convinsero che per reagire bisognava fare non “un’altra” rivoluzione ma semplicemente “il contrario” della rivoluzione cominciando dall’“interiore homine”, tentando, cioè, di restaurare un “ordine” spirituale e materiale che il Sessantotto, in nome della libertà assoluta e fra gli applausi di molti chierici, andava distruggendo a man salva prima nell’uomo singolo, e poi nella famiglia, nella scuola, nella Chiesa, nella società intera... Io, da subito, feci parte di questo gruppo e talora fui protagonista in prima persona. Così, dove la rivoluzione sfasciava la famiglia e preparava la divisione, il divorzio e la solitudine, i “controrivoluzionari” alzavamo fortificazioni per difenderla come il diritto naturale l’aveva voluta; dove si cominciava a parlare di aborto e di “diritto” della donna ad usarne, si rispose che esso era vera e propria uccisione di un innocente nel grembo della madre; dove la rivoluzione sessuale predicava la libertà assoluta e il disordine nei rapporti tra maschio e femmina (anche tra adulti e bambini!), si rispondeva che l’autodisciplina del proprio corpo era il presupposto non solo per l’ordine individuale ma anche per quello sociale; dove loro, durante le occupazioni delle università, diffondevano la droga e dicevano e scrivevano – io ricordo! – che faceva bene alla mente ed “era determinante per la distruzione delle inibizioni”, noi, al contrario, rispondevamo che essa faceva male e che, aggiunta alla rivoluzione sessuale, sarebbe stata l’estrema follia per molti ragazzi, come oggi avviene…!
Ad ogni modo, col disfacimento della cosiddetta Prima Repubblica, tutti coloro che gravitavano nell’ambito culturale della Destra, “convertiti” o meno che fossero, si trovarono quasi naturalmente collocati accanto ai cattolici di sempre e il giovane Fini sembrava essere uomo qualificato a rappresentarli in questa “nuova” temperie politica; ecco perché la sua metamorfosi ci lascia sempre più sbalorditi man mano che gli vediamo acquisire i “vizi” della “modernità” come quando soggiace alla vieta e volgare abitudine degli intellettuali laicisti nostrani che prendono sempre a modello le nazioni dell’Europa del Nord, quelle della Riforma del secolo XVI, come se da esse dovesse discendere anche per l’Italia, “arretrata” e “poveretta” per colpa del Cattolicesimo romano, la luce del “buono” e del “bello” assoluti. E infatti nel recente discorso di Bastia Umbra, per la fondazione di “Futuro e Libertà”, egli, copiando dall’amico Zapatero, dice che “in Italia dobbiamo colmare il divario e allinearci agli standard europei sulla tutela delle famiglie di fatto e quelle tradizionali”, dove “divario” significa arretratezza e l’aggettivo “tradizionali” nella prosa finiana ha valenza di “superato” e di “negativo”; poi, scendendo nel particolare, aggiunge: “non c’è in nessuna parte dell’Europa un movimento politico come il PDL [il partito fondato da lui e da Berlusconi] che sui diritti civili sia così arretrato”.
Al di là del tono supponente che fa pensare ai tipici scritti di “Repubblica”, giornale il più anticattolico sulla piazza, se l’aggettivo “arretrato” fa il paio con “tradizionali”, come sembra, allora dobbiamo concludere che il “salto” di Fini è il più lungo che si possa immaginare; da queste sue parole, infatti, appare chiaro il contrasto con la Famiglia vera come noi cattolici la intendiamo: essa, secondo lui, sarebbe “arretrata” proprio perché “tradizionale”, cioè “cristiana”! A proposito di tali sue parole, “Avvenire” (9-XI-10) parla giustamente di “bizzarro, deludente e rischioso argomentare”. A questo punto possiamo stare sicuri che anche su altri principi “non negoziabili”, come, ad esempio, il “suicidio assistito”, egli sia ormai in rotta di collisione con la Dottrina della Chiesa a cui io, invece, fermamente credo essendo, questa, a ben vedere, l’unica tavola che non affonda nel nullismo della società attuale.
Sì, il “salto” di Fini verso il “partito radicale di massa” ormai è evidente a tutti e – stando così le cose – irrimediabile e definitivo. Pertanto, sicuramente non avrà il mio voto!